The State, I said, cannot solve the problem of the South, because the problem which we call by this name is none other than the problem of the State itself. There will always be an abyss between the State and the peasants, whether the State be Fascist, Liberal, Socialist or take on some new form in which the middle-class bureaucracy still survives. We can bridge the abyss only when we succeed in creating a government in which the peasants feel they have some share. Public works and land reclamation are all very fine, but they are not the answer. Domestic absorption of the emigrants might yield some results, but it would make the whole of Italy, instead of just the South, into one huge colony. Plans laid by a central government, however much good they may do, still leave two hostile Italys on either side of the abyss. The difficulties we were discussing, I explained to them, were far more complex than they realized. There are three distinct sides to it, which are three aspects of one central reality; they can neither be understood nor resolved separately. First of all, we are faced with two very different civilizations, neither of which can absorb the other. Country and city, a pre-Christian civilization and one that is no longer Christian, stand face to face. As long as the second imposes its deification of the State upon the first, they will be in conflict. The war in Africa and the wars that are yet to come are in part the result of this age-old quarrel, which has now reached an acute point, and not in Italy alone. Peasant civilization will always be the loser but it will not be entirely crushed. It will perservere under a cover of patience, interrupted by sporadic explosions, and the spiritual crisis will continue. Brigandage, the peasant war, is a symptom of what I mean, and this upheaval of the last century is not the last of its kind. Just as long as Rome rules over Matera, Matera will be lawless and despairing, and Rome despairing and tyrannical. The second aspect of the trouble is economic, the dilemma of poverty. The land has been gradually impoverished: the forests have been cut down, the rivers have been reduced to mountain streams that often run dry, and livestock has become scarce. Instead of cultivating trees and pasture lands there has been an unfortunate attempt to raise wheat in soil that does not favor it. There is no capital, no industry, no savings, no schools; emigration is no longer possible, taxes are unduly heavy, and malaria is everywhere. All this is in large part due to the ill-advised intentions and efforts of the State, a State in which the peasants cannot feel they have a share, and which has brought them only poverty and deserts. Finally, there is the social side of the problem. It is generally held that the big landed estates and their owners are at fault, and it is true that these estates are not charitable institutions. But if the absentee owner, who lives in Naples, or Rome, or Palermo, is an enemy of the peasants, he is not the worst of the enemies they have to cope with. He, at least, is far away and does not interfere with their daily life. Their real enemies, those who cut them off from any hope of freedom and a decent existence, are to be found among the middle-class village tyrants. This class is physically and morally degenerate and no longer able to fill its original function. It lives off petty thievery and the bastardized tradition of feudal rights. Only with the suppression of this class and the substitution of something better can the difficulties of the South find a solution. The problem, in all of its three aspects, existed before the advent of Fascism. But Fascism, while hushing it up and denying its existence, aggravated it to the breaking point, because under Fascism the middle class took over and identified itself with the power of the State. We cannot foresee the political forms of the future, but in a middle-class country like Italy, where middle-class ideology has infected the masses of workers in the city, it is probable, alas, that the new institutions arising after Fascism, through either gradual evolution or violence, no matter how extreme and revolutionary they may be in appearance, will maintain the same ideology under different forms and create a new State equally far removed from real life, equally idolatrous and abstract, a perpetuation under new slogans and new flags of the worst features of the eternal tendency toward Fascism.
Non può essere lo Stato, avevo detto, a risolvere la questione meridionale, per la ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non è altro che problema dello Stato. Fra lo statalismo fascista, lo statalismo liberale, lo statalismo socialistico, e tutte quelle altra future forme di statalismo che in un paese piccolo-borghese come il nostro cercheranno di sorgere, e l’antistatalismo dei contadini, c’è, e ci sarà sempre, un abisso; e si potrà cercare di colmarlo soltanto quando riusciremo a creare una forma di Stato di cui anche i contadini si sentano parte. Le opere pubbliche, le bonifiche, sono ottime cose, ma non risolvono il problema. La colonizzazione interna potrà avere dei discreti frutti materiali, ma tutta l’Italia, non solo il mezzogiorno, diventerebbe una colonia. I piani centralizzati possono portare grandi risultati pratici, ma sotto qualunque segno resterebbero due Italie ostili. Il problema di cui parliamo è molto più complesso di quanto pensiate. Ha tre diversi aspetti, che sono le tre facce di una sola realtà, e che non possono essere intese né risolte separatamente. Siamo anzitutto di fronte al coesistere di due civiltà diversissime, nessuna delle quali è in grado di assimilare l’altra. Campagna e città, civiltà precristiana e civiltà non più cristiana, stanno di fronte; e finché la seconda continuerà ad imporre alla prima la sua teocrazia statale, il dissidio continuerà. La guerra attuale, e quelle che verranno, sono in gran parte il risultato questo dissidio secolare, giunto ora alla sua più intensa acutezza, e non soltanto in Italia. La civiltà contadina sarà sempre vinta, ma non si lascerà mai schiacciare del tutto, si conserverà sotto i veli della pazienza, per esplodere di tratto in tratto; e la crisi mortale si perpetuerà. Il brigantaggio, guerra contadina, ne è prova: e quello del secolo scorso non sarà l’ultimo. Finché Roma governerà Matera, Matera sarà anarchica e disperata, e Roma disperata e tirannica. Il secondo aspetto del problema è quello economico: è il problema della miseria. Quelle terre si sono andate progressivamente impoverendo; le foreste sono state tagliate, i fiumi si sono fatti torrenti, gli animali si sono diradati, invece degli alberi, dei prati e dei boschi, ci si è ostinati a coltivare il grano in terre inadatte. Non ci sono capitali, non c’è industria, non c’è risparmio, non ci sono scuole, l’emigrazione è diventata impossibile, le tasse sono insopportabili e sproporzionate: e dappertutto regna la malaria. Tutto ciò è in buona parte il risultato delle buone intenzioni e degli sforzi dello Stato, di uno stato che non sarà mai quello dei contadini, e che per essi ha creato soltanto miseria e deserto. Infine c’è il lato sociale del problema. Si usa dire che il grande nemico è il latifondo, il grande proprietario; e certamente, là dove il latifondo esiste, esso è tutt’altro che una istituzione benefica. Ma se il grande propietario, che sta a Napoli, a Roma, o a Palermo, è un nemico dei contadini, non è tuttavia il maggiore e il più gravoso. Egli almeno è lontano, e non pesa quotidianamente sulla vita di tutti. Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. È una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale. Finché questa classe non sarà soppressa e sostituita non si potrà pensare di risolvere il problema meridionale. - author⁄Carlo Levi
from Cristo si è fermato a Eboli ( Carlo Levi, 1947. bib⁄Christ Stopped at Eboli. Time.)