Ieri, durante il dialogo tra Luisa Camoglio and author⁄Habib Ayeb, ho pensato a questi due possibili approgondimenti:
“Salute ed alimentazione: le responsabilità del colonialismo”
La dominazione francese ha portato alla perdita di certe sementi autoctone della Tunisia e mi ha colpito il profondo legame tra i fellah e la terra. Questo mi riporta alla mente la tradizione agro-pastorale sarda che mi riguarda in prima persona. Mio nonno era originario di Orune, un paese della Barbagia, una terra di pastori. I terreni da quelle parti non sono troppo favorevoli, molti pastori di Orune si sono spostati in cerca di terre e pascoli migliori. Alcuni hanno migrato verso il nord della Sardegna. Nel documentario i fellah dicono che loro amano la propria terra tanto quanto i propri figli, in egual misura, perché i figli sono parte di te come lo è la terra. Un altro fellah diceva che la terra è come i suoi genitori, che anche se non ci sono più fanno comunque profondamente parte di te. Un terzo diceva pure che non l’avrebbe mai venduta perchè che cosa se ne sarebbe fatto dell’oro, la terra nutre la vita mentre il denaro vola. La terra diventa un bene materiale e identitario.
Questo legame con la terra mi riporta alla storia della mia famiglia, alla terra a cui si arriva dopo un paio, o forse più, generazioni di sforzi. Mio nonno rimase orfano e si spostò assieme ad un paio di zii ed arrivarono a Tula, un piccolo paese del Logudoro, che letteralmente significa posto d’oro. All’inizio mio nonno era un servo pastore. Viveva e lavorava in campagna insieme a mia nonna e ai loro figli. Mio padre e tutti i figli maschi hanno continuato a lavorare in campagna, spostandosi in altri terreni, inizialmente in affitto ma avendo il proprio bestiame (mentre mio nonno curava il bestiame altrui). La seconda generazione è riuscita ad acquistare il terreno che all’inizio avevano in affitto. La terza generazione, che è quella di mio fratello e di mio cugino, ha portato alla separazione dei due terreni per nuclei famigliari. Anche questo ci riporta in Tunisia, visto che anche lì c’è molto frazionamento della terra.
“La contraddizione e la fascinazione dell’educazione occidentale”
author⁄Habib, una volta finita l’università, credeva che solo gli ingegneri agricoli dovessero andare ad occuparsi delle terre. Successivamente invece si rese conto che la sua concezione era profondamente sbagliata, perchè comunque i contadini nonostante non avessero una formazione culturale o universitaria, sapessero tuttavia prendersi cura della propria terra.
Ad un certo punto si è creato un coflitto tra tutto ciò che a lui era stato insegnato come progresso rispetto ad una conoscenza definita come più rozza ma arcaica e quindi affinata nel corso dei secoli, questo saper fare del mondo contadino.
La contraddizione di questa educazione occidentale che ti dà delle conoscenze che sono legate ad una versione egemonica occidentale e che a volte si pone come l’unico modello di uomo evoluto possibile e crea una fascinazione ingannevole. Porta ad allontanarsi da degli aspetti culturali identitari, profondamente materiali e terreni, nel senso propriamente della terra, ed una volta che questi saperi vanno persi e quel filo si spezza, non c’è studio che tenga per poterli recuperare, anche a livello corporale.
Il giorno dopo abbiamo parlato di questa memoria del corpo.